8 marzo

8 marzo: la parità di genere come opportunità

“Ogni volta che una donna lotta per se stessa lotta per tutte le donne”.

Maya Angelou

Samatha Cristoforetti
Samantha Cristoforetti, astronauta, aviatrice e ingegnere italiana

Il 3 marzo 2021 l’Agenzia Spaziale Europea annuncia che l’astronauta Samantha Cristoforetti parteciperà ad una nuova missione sulla Stazione Spaziale Internazionale (ISS) nel 2022. Quando leggo la notizia rimango piacevolmente sorpresa e penso, con orgoglio, a quanto sia bello quando una donna è chiamata a svolgere ruoli di responsabilità e di così alto profilo. L’annuncio, che pare fosse atteso da tempo, o almeno così leggo in un articolo de “Il Post”, mi fa felice. La Cristoforetti aveva già svolto una missione di questo tipo nel 2014, quando rimase a bordo della ISS per 200 giorni, conducendo numerose attività e partecipando ad esperimenti scientifici.

In seguito a quell’esperienza, carica di significati e patriottiche soddisfazioni, AstroSamantha, come fu ribattezzata affettuosamente dall’opinione pubblica, ha realizzato importanti obiettivi personali, divenendo, nel 2016, a 39 anni, mamma della piccola Kelsey, oltre che un’ottima divulgatrice internazionale, capace di rappresentare nel mondo un esempio di emancipazione femminile e grande preparazione tecnica. È lei la prima donna italiana nello Spazio e con 200 giorni è sempre lei a detenere il record europeo e femminile di permanenza nello stesso in un singolo volo. È affascinante ascoltare la sua storia, comprendere, attraverso le sue parole, quanto impegno e dedizione ha messo nel lavoro che ha svolto. È il “piglio” delle grandi donne, penso, ma anche un monito a non mollare mai, neppure quando le condizioni di vita vorrebbero che facessi scelte diverse. E lei di scelte ne ha fatte tante, a cominciare dal voler svolgere una professione considerata universalmente maschile senza mai perdere la fiducia che ce l’avrebbe fatta. Ha anche scelto di essere mamma, non rinunciando a quella meravigliosa dimensione dell’essere donna per amor di carriera e anzi conciliando entrambe le cose, scardinando così ogni pur lecito pregiudizio sociale al riguardo. 

Samatha Cristoforetti
Samantha Cristoforetti, astronauta, ritornerà nello spazio nel 2022. Fonte: ESA

Ammiro le donne che lottano per se stesse, quelle che sanno andare oltre gli stereotipi e combattere per vedersi riconosciuti i propri meriti. Sono quelle che vanno oltre le “quote rosa” e che anzi sono pronte a ricoprire posti di responsabilità malgrado queste. Sono quelle che cambiano il mondo un pezzetto alla volta e lasciano un segno della propria presenza a prescindere dal contesto in cui si trovano. Sono le stesse alle quali guardo sempre con ammirazione e rispetto, al di là delle organizzazioni in cui operano o delle idee che rappresentano, perché quasi sempre la forza che esprimono è solo il culmine di un percorso interiore proteso a rintracciare, con onestà e intelligenza, le ragioni di una nuova consapevolezza.

Per fortuna di queste donne ne ho incontrate tante negli oltre trent’anni di attività politica e nel mondo del lavoro. Con molte di loro ho intrecciato rapporti che sono stati fondamentali per la mia vita, di grande ispirazione per tutte le battaglie fatte e di assoluta importanza per la realizzazione di imprese e progetti, eppure sento che la società ancora stenta a considerarle per quello che valgono. In Italia le donne ancora fanno troppa fatica ad emergere e, cosa ancor più grave, ancora stentano a ricoprire ruoli chiave al vertice delle istituzioni. Quel processo di emancipazione iniziato agli albori del secolo scorso è ancora lontano dall’essere compiuto e sebbene tanta strada sia stata fatta, ne rimane ancora tanta da fare perché ci si affidi alle donne in politica e nelle realtà imprenditive del paese.

Io stessa, per la mia particolare condizione di donna e disabile, ho tante volte incontrato il pregiudizio, scontrandomi con l’ingiustizia di scelte fatte non sulla base di competenze ed esperienza, ma opportunità di genere e preconcetti sociali.

Negli anni ho capito che non è una questione politica. Non si tratta di un tema di sinistra o di destra. È un tema trasversale e sostanziale, che dovrebbe vedere ogni donna lottare per l’altra a prescindere dal contesto in cui opera. Ci si può scontrare sulle idee, trovare in disaccordo su come orientare alcune scelte, ma mai essere contro una tal faccenda perché a condurla è una donna. E sebbene a leggere queste mie parole qualcuna potrebbe ribattere che certe indisposizioni appartengono al passato, vi posso assicurare che sono invece praticate in molti contesti anche oggi.

Non ho mai capito infatti perché alcune donne si ostinino a volere che il potere venga esercitato dagli uomini e non si battano invece per essere rappresentate da altre donne, depositarie di valori e attitudini simili alle loro. Non so davvero quanti siano gli uomini che facciano il contrario, ma questo è un altro discorso.

Il problema che emerge è connaturato ad una mentalità generale, ma anche, forse, ad una pratica diffusa che ha sempre portato a marginalizzare le donne, escludendole dal potere.

Emancipazione femminile

E infatti nell’intera storia repubblicana nessuna donna è mai stata presidente della Repubblica, per fare un esempio, né tanto meno presidente del Consiglio. Come pure, da che ricordi, nessuna donna ha mai guidato commissioni parlamentari che si occupano di economia e finanza. In base a quale principio si ritiene che solo un uomo possa occupare ruoli apicali di così fondamentale importanza per il Paese?

È tempo che il dibattito politico in Italia, su certe questioni, si faccia più serio. È tempo che la diversità tra uomini e donne, come pure quella rappresentata da una particolare condizione fisica, vengano considerate una ricchezza, una prerogativa utile a dare completezza di visione e intenti alla società nel suo complesso.

E occorre pure che le donne, per prime, valorizzino il rapporto naturale che deve esserci tra “sorelle”, difendendo il vincolo che le unisce a prescindere dal partito o dal contesto di appartenenza. Dopo tanti anni di impegno nella vita pubblica, infatti, ancora faccio fatica a comprendere ed accettare la ferocia con cui alcune si rivolgono ad altre per sostenere la propria visione politica o rimangano indifferenti quando una collega riceve attacchi offensivi e violenti, che fanno peraltro più riferimento alla natura del loro essere sociale che ad idee o parole espresse. Io stessa ne ho subiti diversi e, tranne qualche eccezione, non ho mai potuto contare sulla piena solidarietà delle colleghe. Sono stata insultata e definita non per le idee che difendevo e sostenevo, ma perché disabile e, devo dire, in pochissime mi hanno dato supporto. La maggior parte ha fatto finta di nulla o preso le distanze, ampliando, se vogliamo, ogni possibile distanza.

Alcune frasi dette mi hanno ferito. Sono state di cattivo gusto e assolutamente fuori contesto, oltre che deplorevoli, ma, per fortuna, dopo il contraccolpo iniziale, hanno solo avuto il merito di rafforzare la mia voglia di esserci, facendo una parte importante nell’opera di cambiamento di quel mondo, che ancora oggi, nonostante tutto, voglio contribuire a migliorare.

Facciamo dunque attenzione a come affrontiamo certe questioni, perché, come disse il Mahatma Gandhi, se certe convinzioni diventano le nostre parole e le nostre parole diventano i nostri pensieri, allora certe parole diventano le nostre azioni, le azioni diventano abitudini, le abitudini valori e, questi ultimi, il nostro destino. Fatto questo che, per quanto riguarda il tema in questione, non possiamo permettere in alcun modo.

La “sorellanza” universale è un legame che dobbiamo coltivare e difendere per affrontare in modo nuovo le sfide che verranno.

C’è e deve esserci sempre di più, tra noi donne, quel legame speciale capace di farci essere una squadra. La solidarietà e l’aiuto reciproco sono armi fondamentali per combattere il pregiudizio e affermare i propri diritti, a qualunque livello si operi.

mimosa

È con questo spirito che vivo, ogni anno, l’8 marzo. Ed è sempre con questo spirito che auguro a tutte le donne, colleghe, amiche, sorelle, di non rinnegare mai se stesse per volontà di qualcun altro.

C’è nel nostro essere tutto quanto di bello la vita poteva darci: intelligenza, sensibilità, determinazione, qualità che sono alla base di qualunque successo, professionale e personale.

Coltivarle e farle emergere non è prerogativa del femminismo estremo, ma di una politica del buon senso che andrebbe praticata a tutti i livelli per far progredire l’intera società.

C’è un femminismo estremista che non amo. Soprattutto per due suoi aspetti. Il primo: l’ostilità verso l’uomo. Mi sembra che nel mondo ci sia già troppa ostilità – bianchi e neri, destra e sinistra, cristiani e non cristiani, cattolici e protestanti – che non c’è bisogno di creare un altro ghetto. Il secondo: il fatto che sia un progresso per la donna moderna mettersi nella stessa condizione dell’uomo moderno – il manager che fa affari, il finanziere, il politico – senza vedere il lato assurdo e anche inutile di queste attività”.

Marguerite Yourcenar

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